Medieovo al femminile, quanto le donne contavano nella società

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Madonna Eloisa
view post Posted on 24/3/2010, 17:32




CITAZIONE
Quello che l'autore vorrebbe dire (se ho letto bene) è che non c'è medico, istruito o no, migliore della Madonna.

Messo così, mi viene in mente che l'autore abbia voluto paragonare il merito del medico al valore salvifico (e probabilmente taumaturgico) della Madonna. Diciamo, come provocazione, che non si guarda alla Madonna perchè è donna in quanto tale, ma perchè è madre di Dio e come tale superiore a qualunque essere umano.

Poi ci possono anche essere altre letture più specifiche.
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 24/3/2010, 17:54




Un po' riduttiva come considerazione, perché dire che Maria venisse considerata semplicemente come la Theotokos o come la Regina, è sempre una lettura molto parziale.

Su questo argomento consiglierei Il sì di Maria di Inos Biffi, secondo me una delle migliori trattazioni della figura della Madonna nella teologia medievale.
Maria è sì Madre di Dio, ma è stata scelta come tale proprio perché era la più perfetta di tutte le creature, maschi compresi. E tutti i teologi medievali ne parlano come il modello supremo di perfezione cui possa arrivare una creatura umana.
Sì, il suo essere "onnipotente per grazia" deriva dall'esser Madre di Dio, ma è stata resa tale anche perché ha detto sì.

E attenzione al concetto di madre, perché nel Medioevo essere madre non significava semplicemente una pura "produttrice di uomini", com'era stato nell'Antichità (Sparta insegna) e come sarà poi soprattutto a partire dal Settecento in poi.
Essere madre era molto di più, tant'è vero che il modello di santità della madre veniva affiancato a quello maschile del sacerdote.
 
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Madonna Eloisa
view post Posted on 24/3/2010, 18:23




La mia era un'idea veloce, senza poter addentrarmi nel problema.
E non voleva essere riduttivo, ma anzi avere la Madonna come punto di riferimento era puntare in alto!

Per il concetto di madre nell'antichità, basterebbe guardare i libri educativi scritti da madri per i propri figli (sono di corsa e non ho i libri sotto mano per fare le citazioni giuste!scusate!) e quindi di certo non erano pure fattrici.


CITAZIONE
nell'Antichità (Sparta insegna)

Non lasciarti traviare dalla "tradizione". Le donne a Sparta erano le più libere e indipendenti di tutta la Grecia. Erano considerate all'altezza degli uomini e questo indipendentemente dal fatto che venivano da ascendenti nobili e avrebbero generato spartani e quindi "i migliori fra i greci". E tanto altro ci sarebbe da dire.
La nomea contraria a Sparta viene dagli storici vicina ad Atene, sia loro contemporanei che successivi.
Sulle donne greche c'è molto da riscrivere e soprattutto sulle spartane.
Ma questo è un altro discorso!
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 24/3/2010, 19:52




Un lavoro interessante perché vede il problema dal punto di vista sociologico credo sia quello di Rodney Stark all'interno del libro Ascesa e affermazione del Cristianesimo. Sì, è vero, le donne di Sparta erano le più libere dell'antichità, su questo concordo, ma sempre "allo scopo di".
Degli ottimi saggi sulla condizione delle donne romane sono:

J. Gaudemet, Le statut de la Femme dans l'empire romain e R. Villiers, Le statut de la femme a Rome jusqu'a la fin de la République, entrambi pubblicati nella miscellanea Lafemme, 1.1, 1959, a cura della Societé Jean Bodin.

Più funzionale al nostro argomento, quello della madre, è quello pubblicato dalla spagnola Amelia Castresana, Catálogo de virtudes femeninas, Madrid, 1993.
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 24/3/2010, 20:12




Approfondendo l'argomento "Come la Chiesa vedeva la donna", mi sembra molto interessante ques'articolo di Alix Ducret, che ho tradotto.

Le donne viste dalla Chiesa medievale
di Alix Ducret

Nel Medioevo, la tradizione biblica e patristica, se non è conosciuta da tutti, è appannaggio degli uomini di Chiesa. E questa tradizione presenta la donna come inferiore all’uomo e come a lui sottomessa, come prescrive san Paolo. Un’idea che sarà ancor più rafforzata dallo studio dei testi di Aristotele nel XIII secolo. D’altronde, per dieci secoli, la Chiesa ha sostenuto che le donne non avessero un’anima… Tale è, in ogni caso, l’idea che ci è propinata, dimenticando per giunta la stessa tradizione biblica che nella Genesi precisa che «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio egli lo creò, maschio e femmina li creò». Il che, se si sa leggere, significa che, se uno ha un’anima, anche l’altro ce l’ha…
Tale misoginia, della quale si accusa la Chiesa, è stata reale? È stata generale in tutti gli ambienti ecclesiastici? Certi universitari si sono posti la domanda, andando al di là della semplice ricerca conciliare e dottrinale, sviscerando letteralmente sermoni ed exempla, al fine di fornire una visione più reale del pensiero della Chiesa sulle donne.

Se risulta chiaramente che alcune ragazze siano state maritate o mandate in convento senza il loro consenso, questa non era certo la posizione ufficiale della Chiesa. Quest’ultima non considera valido un matrimonio se gli sposi non danno il loro consenso e insiste, nei secoli XII e XIII, sul consenso della donna… Ma i discorsi ufficiali e i fatti reali sono due cose diverse ed è certo che la maggior parte dei matrimoni erano dettati più dall’interesse che dalla passione. Nel corso degli anni, gli uomini di Chiesa costatano egualmente la moltiplicazione dei matrimoni d’interesse «altro» - Roberto di Sorbon cita il caso di un’unione tra un «pulzello» e una signora, azzimata ma molto ricca – e soprattutto una recrudescenza degli adulteri. Per lottare contro questo dato di fatto, la Chiesa tenta dunque di rimettere in onore il matrimonio… Anzitutto durante il Concilio Lateranense IV (1215) che definisce il matrimonio come un sacramento indissolubile – al pari di quello dell’ordine – e che stabilisce in quali circostanze possa esser messo in discussione… e viceversa. Poi, facendo «propaganda» a sante come Maria Maddalena, già venerata in gran parte del paese. Così, se la verginità religiosa, imitazione di quella della Vergine Maria, è sempre oggetto di ammirazione, secondo la specialista Nicole Bériou, «l’esempio di Maria Maddalena non permette di concludere che una “buona sposa” vale forse più di dieci vergini?». Infine, la Chiesa fa l’elogio dell’ «affetto coniugale» che, secondo lo storico Jean-Claude Bologne, «deve nascere da un accordo più profondo (della passione) tra gli sposi».
Le donne sono più assidue degli uomini nella pratica religiosa, ed è dunque su di loro che contano gli uomini di Chiesa per garantire il rispetto di alcune esigenze - comunione e confessione una volta all’anno. Parimenti, lo studio degli exempla – piccole storie che permettevano al predicatore o al confessore di spiegare un punto di dottrina o di morale – rivela che gli ecclesiastici consideravano generalmente la donna come il pilastro della famiglia.
Nei manuali dei confessori, si trova un certo numero di «situazioni» concernenti le donne – senza dubbio perché loro si confessavano più spesso. E, nei casi in cui la raccomandazione concerne la coppia, è chiaro che il confessore vede nella donna l’elemento unificante, rappacificante della famiglia e la invita a svolgere pienamente il suo ruolo. Un ruolo, definito chiaramente dai canonisti, che tiene largamente conto delle esigenze del mondo feudale.
Spose, le donne sono egualmente destinate a esser madri - essendo la procreazione lo scopo primario del matrimonio secondo i canonisti – e ciò conferisce loro, agli occhi della Chiesa, uno statuto particolare. Essa dunque implica ormai il rimettere in onore questa «opera della carne» che, nell’ambito del matrimonio, non contamina più, è benedetta - il termine di fornicazione va d’altronde ad indicare unicamente un atto sessuale compiuto fuori del matrimonio. Così, appare che, a partire dal XIII secolo, la cerimonia della purificazione è presentata diversamente.

Anche se fuori dalla tradizione biblica, la purificazione è parte integrante dei costumi cristiani. D’altronde, la Vergine Maria stessa vi si è sottomessa. Questa cerimonia aveva lo scopo originario di purificare la puerpera dalla concezione del bambino, cioè dall’atto sessuale che l’ha introdotto. Nella logica della valorizzazione dello statuto della madre da parte della Chiesa, questo costume si evolve nel XIII secolo. E se esso è ancora in vigore, è per purificare la madre, non dall’atto sessuale, ma nel caso essa abbia commesso un peccato o un’impurità durante la gravidanza.
La maternità è allo stesso modo messa largamente in onore nelle dispense fatte dalla Chiesa alle donne incinte: per esempio, esse non osservano il digiuno quaresimale e devono, al contrario, mangiare il doppio.
Roberto di Sorbon, celebre teologo del XIII secolo al quale si deve la fondazione dell’università che porta il suo nome, ha celebrato a più riprese il posto delle donne attraverso i suoi exempla e in particolare delle donne incinte.
Costantemente, nota Nicole Bériou, egli dichiara a più riprese che esse devono essere oggetto di ogni attenzione. Non vede forse che in alcune contrade, la legge punisce l'omicidio di una donna incinta con una multa sette volte più pesante di quello di un uomo? E non si grida tutte le volte tra la folla, a Parigi,: "Scostatevi, c’è una donna gravida!"?
Per Roberto di Sorbon, è altrettanto chiaro che la donna supera il marito nel suo palese attaccamento ai figli: ci sono madri che chiedono pietà per figli criminali, quelle che esortano i mariti alla vendetta per la morte di un figlio, quelle che sono pronte a tutto pur di assicurare un avvenire ai loro figli. Un oltranzismo che Sorbon denuncia affettuosamente.

Il cristianesimo : un affare di donne, dopotutto.
Il fatto che la Chiesa abbia sempre rifiutato il sacerdozio alle donne, è stato visto da certi oltranzisti come una prova supplementare della misoginia della Chiesa. Ma non è forse quella stessa Chiesa che onora, al di sopra di tutti, la Vergine, madre di Cristo? Il culto mariano, così intenso e popolare, specialmente nel Medioevo, appare più come una prova eclatante contro la teoria della Chiesa-misogina. E non è quella stessa Chiesa che si considera essa stessa come sposa di Cristo?
Certo, la Chiesa ha sempre fatto la promozione di una donna sposa e madre, ma è veramente così riduttivo quando si sa che la stessa Chiesa è sposa?
Ma Eva, mi direte voi? È proprio a causa di una donna che è stato commesso il peccato originale! Certo, ma la Chiesa non ne parla forse come di una «felice colpa»? Perché senza questo fatto, non sarebbero giunti né la Vergine Maria, né Cristo salvatore del mondo…
Da Eva a Maria, dalla madre di Dio alla sposa di Cristo, il Cristianesimo è davvero un affare di donne!
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 27/5/2010, 17:33




Volendo continuare il discorso sulla papessa, inserisco qui un articolo tratto dalla miscellanea americana Misconception about the Middle Ages, che ho appena finito di tradurre dall'Inglese.

La papessa del Medioevo

Vincent DiMarco
professore emerito d’Inglese alla University of
Massachusetts, Amherst.



Questa favola astorica, largamente riportata senza confutazione dalla metà del tredicesimo secolo fin nel Rinascimento, continua sia a catturare l’immaginazione sia a soddisfare le brame dei teorici contemporanei di cospirazioni contro il sistema, di mal documentati critici del Cattolicesimo Romano, e determinate femministe ansiose di restituire alle donne una voce e un potere che i resoconti storici maschili e la chiesa in particolare avrebbero negato loro. Questo lavoro si concentra su come si è evoluta questa leggenda nel Medioevo, con soltanto una breve discussione sulle analisi e interpretazioni moderne, lista ben più ampia di quella alla quale si è accennato.
La storia fu messa per iscritto per la prima volta attorno al 1260 dal domenicano Jean de Mailly nella sua Chronica Universalis Mettensis, dove in una glossa sotto l’anno 1099 è annotata, come una ricerca su cui indagare, il racconto di una donna scambiata per uomo che salì, con la forza della sua personalità e dei suoi talenti, alla posizione di segretario della curia, poi di cardinale, e infine di papa. Un giorno, comunque, mentre era a cavallo, questa diede alla luce un bambino, il che la giustizia Romana decretò punibile di morte: lei fu legata ad un cavallo, trascinata e lapidata dalla plebe per due chilometri e mezzo; nel punto in cui morì fu posta un’iscrizione: Petre, Pater Patrum, Papisse Prodito Partum (“Pietro, Padre dei Padri, Tradisci il Parto della Papessa”).
Il resoconto di Jean fu ripreso e ampliato da un altro domenicano, Etienne de Bourbon, nel De Diversis Materiis Praedicabilibus (ca. 1261). Per lui, l’affare, che data “intorno al 1100”, costituisce un esempio “di meravigliosa audacia o piuttosto insania,” che dimostra “come una tale temeraria presunzione conduca a una fine così vile.” Curiosamente, una variante che Etienne introduce nell’iscrizione, Parce (“Evita”) al posto di Petre, sembra inspiegabilmente capovolgere il suo significato e quello della morale che egli dà al presunto avvenimento, così come suggerire che la base dell’epigrafe era probabilmente un’antica iscrizione leggibile solo parzialmente o ridotta alle lettere iniziali. Rosemary e Darroll Pardoe (pp. 44–6) notano che P.P.P. sta spesso per Pecunia Propria Posuit (“Pose a spese proprie”) e che Pater Patrum era un noto titolo Mitraico secoli prima della nascita della leggenda della papessa. Così, le varie descrizioni della statua della papessa e di suo figlio (cfr. Johann Burchard, 1486; Martin Lutero, ca. 1510; Roberto Bellarmino, 1577) probabilmente si riferiscono a una o più immagini preesistenti del periodo classico, forse a quella di Giunone che allatta Eracle.
Che le potenzialità di questa storia come exemplum fosse presto sfruttata da quella che Boureau chiama “l’informazione domenicana”è palese dall’opera di Iacopo de Voragine Chronica Januensis (Cronaca Genovese, scritta nel 1292, quando Iacopo era arcivescovo della città), Parte 9, Capitolo 8, dove, nel momento in cui introduce il pungente dettaglio che al giungere dei dolori del parto la papessa entrò “in una casetta nella strada; lì morì per i dolori del parto e fu sepolta lì,” Iacopo pronuncia la sentence antifemminista: “La donna … comincia ad agire con presunzione e audacia, ma manca di prendere in considerazione il fine dell’azione e ciò che lo accompagna; essa pensa di aver fatto grandi cose; se può iniziare qualcosa di grandioso, non potrà … perseguire con sagacia ciò che ha cominciato, e questo per la mancanza di discernimento” (Boureau, trad. Cochrane, p. 122).
Dal tempo di Iacopo la data 1099-1100 del presunto regno della papessa viene abbandonata, senza dubbio sotto il peso del fatto incontrovertibile della consacrazione di Pasquale II, avvenuta a sole due settimane dalla morte di Urbano II, alla fine del luglio del 1099. R. e D. Pardoe, suggeriscono che plausibilmente la data specificata nella narrazione di Jean de Mailly (che “prolunga” l’elevazione di Pasquale al trono papale fino al 1206) fu suggerita dall’esistenza durante i pontificati di Urbano e Pasquale degli antipapi Clemente III (1080–1100), Teodorico (1100–02), Alberto (1102), e Silvestro IV (1105–11). Ma il 1099 data dell’incoronazione di Pasquale può esser preso in considerazione anche in un altro modo nell’evolversi della leggenda, nei due “sedili forati” che si dice servissero per consentire la verifica manuale dell’autenticità dei testicoli papali, come vedremo.
La data dell’undicesimo secolo fu presto superata da un’attestazione precedente. La Chronica Minor di un anonimo francescano di Erfurt, intorno al 1265, include come prima interpolazione la storia dello pseudopapa, “il cui nome e anno sono ignoti”, ma è inserito nel testo tra i paragrafi dedicati a papa Formoso (891–6) e papa Bonifacio VI (896). Ma quella che divenne la data tradizionale fu stabilita in un’interpolazione del tardo tredicesimo secolo in una delle due revisioni (1268, 1277) della molto copiata Chronica de Romanis Pontificibus et Imperatoribus del domenicano cappellano papale Martino Polonio (Martino di Troppau). Qui “Giovanni Anglico” (Boureau: forse un errore per Angelicus, riferendo la frase ricorrente angelicus papa?), era una giovane donna di Mainz, presa ad Atene per il suo amore per lo studio, e scambiata per un uomo; da lì andò a Roma, si distinse nell’insegnamento, e fu eletta papa alla morte di Leone IV nell’855 (nonostante il fatto che fu Benedetto III a succedere a Leone per gli anni 855-8). Lei regnò per due anni, sette mesi e quattro giorni, finché, essendo rimasta incinta del suo amante, partorì e morì durante una processione da San Pietro a San Giovanni in Laterano, tra il Colosseo e la chiesa di San Clemente. “E poiché il papa fa sempre una deviazione da questo percorso, molta gente pensa che sia per l’orrore di quell’evento.” Gli insistenti tentativi (più recentemente, quello di Rinaldi e Vicini) di citare testi precedenti che menzionerebbero la papessa, come il Liber pontificalis (che finisce con il paragrafo su Nicola I, 858-67), gli Historiographi del benedettino Mariano Scoto (m. 1086), la Chronographia di Sigelberto di Glembours (che finisce nell’anno 1112), il Pantheon di Goffredo da Viterbo (ca. 1185), e gli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (1211) sono tutti viziati dal fatto che queste allusioni sono interpolazioni tarde prese dalla tradizione di Martino. Infatti, una fiducia non acritica nella forza della “tradizione orale” può sostenere la totale mancanza di evidenza documentaria della presunta papessa per oltre quattrocento anni. Stanford (32-4 e passim), un ardente sostenitore della storicità della papessa, trae una forza curiosa dall’esistenza di queste interpolazioni tarde: dal suo punto di vista, esse nascondono una “tardiva ritorsione della Chiesa Cattolica” contro la storia, sarebbero cioè un prodotto della Riforma. Ma ciò significa ignorare o distorcere l’esistenza di un mucchio, se non centinaia, di allusioni del periodo pre-Riforma; retrodatare le risposte cattoliche ai tentativi protestanti di scandalizzare la chiesa ad un Weltanschauung pre-Riforma; e confondere la mancanza d’interesse da parte della chiesa – per qualsiasi ragione – a pronunciarsi formalmente contro la storia (che era spesso utilizzata dal clero per fini omiletici, come abbiamo visto) con un massiccio, e massicciamente inutile, tentativo di occultarla.
Quali fattori possono aver alimentato la leggenda, che è creazione, dopotutto, dei chierici del Medioevo? Quasi 150 anni fa, Döllinger notò il rapido diffondersi della storia dalla fine del tredicesimo secolo, cioè al tempo del pontificato di Bonifacio VIII (1294–1303), che era spesso in conflitto con gli ordini mendicanti. Più recentemente, Boureau ha magistralmente delineato la tensione tra il papato e gli ordini dagli anni 1254–60, e ha attirato l’attenzione sul tumulto riguardo all’abdicazione di Celestino V, chiamato da molti il “papa angelico”, e sulla successiva elezione di Bonifacio, che era diffusamente criticato come uno “pseudopapa” illegittimamente insediato. L’analogia con la papessa è intrigante, specialmente se ricordiamo che la storia nella cronaca di Martino si conclude con una questione di diritto canonico applicato, nel dichiarare il suo regno non valido, dal momento che lei era ineleggibile, anche se legalmente eletta: ella non è inserita nella lista dei romani pontefici ”in ragione della non conformità che il sesso femminile sia coinvolto in questa faccenda.” I Pardoes (56 ff.) citano una lettera del 1054 di papa Leone IX a Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, in cui il pontefice, scagliandosi contro la pratica di ammettere gli eunuchi ad importanti posizioni ecclesiastiche, allude al fatto che la Chiesa Orientale “aveva una volta innalzato una donna sul trono del pontefice”; il Chronicon Salernitanum (ca. 980) riferisce che al tempo di Carlo Magno (742-814), la nipote del patriarca di Costantinopoli, scambiata per un eunuco, fu scelta come vescovo fra tutti e regnò per quasi un anno e mezzo prima che uno spirito maligno svelasse lo scandalo. Un tradimento del diavolo, notiamo, figura in un certo numero delle narrazioni della papessa, per esempio, la Chronica Minor e i Flores Temporum. Forse il ricordo di un eunuco presumibilmente asceso al patriarcato fornì un’analogia con una donna papa o l’amante di un papa ascesa alla cattedra di San Pietro, o proprio con un papa dissoluto satiricamente “identificato” come femminile.
Due aspetti medievali della leggenda richiedono un momento di attenzione: la presunta deviazione fatta dai papi durante la processione dell’incoronazione dal Vaticano a San Giovanni in Laterano per evitare la strada dove la papessa avrebbe partorito; e la presunta verifica manuale dell’autenticità dei testicoli papali. Riguardo al primo, sembra effettivamente che dalla metà del dodicesimo secolo il percorso della processione papale subisca una deviazione vicino alla chiesa di San Clemente, lontano da una via stretta (ora Via dei Querceti), in favore di quella che è ora Via Labicana, per raggiungere il Colosseo. Ciò è, come precisa D’Onofrio (212-40), quasi certamente il risultato del crescente numero di persone all’interno della processione; in un tempo in cui il papa sta consolidando il proprio potere e le ultime vestigia del precedente Carnevale romano/spirito parodistico dell’antica Cornomannia va scomparendo, ciò fu interpretato come una deviazione volontaria, come abbiamo visto. Boureau (90) riferisce la diceria che la stretta Via dei Querceti avesse creato una strettoia che avrebbe ospitato il parto della papessa; in ogni caso, la strada finì per esser chiamata vicus papissae, e una cappella con l’affresco della Madonna col Bambino finì per esser visto come un monumento alla papessa e a suo figlio.
La presunta verifica manuale dell’autenticità dei genitali papali, eseguita da un giovane diacono attraverso un’apertura nel trono papale, avrebbe dovuto, naturalmente, scongiurare il rischio dell’elezione di un’altra donna papa. Fu riferita per la prima volta dal benedettino Geoffrey de Courlon e dal domenicano Robert de Uzèz alla metà dell’ultimo decennio del XIII secolo, e poi non più fino alla fine del quattordicesimo secolo, nel seguito della cronaca di Johannes di Viktring, e nel 1379 da Adam di Usk, la cui impossibile “testimonianza oculare” può essere spiegata con l’amaro disappunto del chierico gallese a ritornare in patria senza aver ricevuto l’incarico a Roma che desiderava. Dal 1406, l’umanista Jacopo d’Angelo, apparentemente più fortunato nella sua ricerca del favore papale, nega nel suo resoconto sull’incoronazione di Gregorio XII che un simile rito esistesse, e motiva questa falsa credenza con tratti ampiamente validi spiegando lo scopo e la funzione di vari sedili utilizzati durante il rituale dell’incoronazione: un sedile a San Giovanni in Laterano, chiamato sedes stercoraria, sul quale il papa si sedeva per ricordarsi “che esce dal fango e dal letame”, cioè che anche lui è soggetto alle debolezze della natura umana; e due sedili di porfido nella Cappella di San Silvestro (dei quali, dato che sono forati, Jacopo dice, “la gente comune racconta la storia insensata che qualcuno lo tocchi quando si siede lì per provare che sia effettivamente un uomo”). Seduto sul secondo, il papa riceve, rispettivamente, il pastorale papale e le chiavi (i. e., il potere di governare, affidato da Cristo a Pietro) e una cintura rossa ornata con dodici pietre preziose (che evoca gli ornamenti del Sommo Sacerdote dell’Antico Testamento). I due seggi di porfido sono documentate per la prima volta per l’investitura di Pasquale II nel 1099, come testimonia il Liber Pontificalis. La leggenda del rito della verifica guadagnò un po’ di diffusione nel quindicesimo secolo, a volte legata alla storia della papessa, altre senza espliciti riferimenti a lei. Ma dal 1474, quando l’umanista Platina (Bartolomeo Sacchi di Piadena) terminava le sue Vitae pontificum, continuazione del Liber Pontificalis, la leggenda era diventata confusa e svalutata: Platina riferisce la storia della papessa come qualcosa raccontato da autori oscuri e poco attendibili a cui quasi nessuno credeva. Egli dunque accetta con estrema riluttanza – “Non lo negherò”, dice – la presunta ragione della deviazione del percorso di processione, ma “fonde” i diversi seggi in uno: il seggio è forato, conclude, perché il papa sappia che è soggetto alla natura e deve defecare! Infatti, il “seggio stercorario” fu eliminato dal rito dell’investitura nel 1560, mentre i due sedili forati furono usati per l’ultima volta per la consacrazione di Leone IX nel 1513. Uno fu trafugato dal Vaticano da Napoleone dopo il trattato di Tolentino e oggi è al Louvre; l’altro è ancora nei Musei Vaticani, dove Stanford, che scriveva nel 1998 e confonde ancora i seggi forati con la sedes stercoraria, vi si sedette furtivamente sopra e dichiarò che non poteva essere decisamente un gabinetto!
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 28/6/2010, 18:18




Avrei una domanda per gli Emiliani, nello specifico per la dotta (buzzurra per nulla!) Madonna Eloisa.
Tra il bel gruppetto delle "lettrici" di Diritto che avrebbero insegnato alla Alma Mater di Bologna, una delle prime sembra esser stata Bitisia (o Bettisia) Gozzadini (o Gozzadina).

Per brevità, inserisco qui una sintetica biografia in un articolo di Marina Santini:

CITAZIONE

Nessuna batte Bettisia



Generalmente si attribuisce la palma di prima professoressa universitaria, al mondo, alla bolognese Laura Bassi Veratti (1711-1778), che insegnò presso lo Studio di Bologna, prima filosofia (1733) e poi fisica sperimentale (1776): una scienziata poliglotta che, inaugurando il modello delle moderne donne in carriera, riuscì a coniugare felicemente una grande famiglia (un marito, otto figli) con la sua vocazione di studiosa.
Ugualmente, si considera come prima laureata la veneziana Elena della nobile famiglia dei Cornaro Piscopia (1746-1784). Elena era una donna coltissima e nel 1778, dopo un pubblico esame sostenuto davanti ai dotti dell’Università di Padova, ricevette la laurea in filosofia.
Non la utilizzò: timida e schiva, mise da parte i libri preferendo dedicarsi totalmente alle opere di bene. Del resto morì, nubile, ancora al di sotto della quarantina.
Ma questi settecenteschi primati vengono polverizzati da una medievale professoressa, bolognese anche lei: Bettisia (o Bitisia) dei Gozzadini, nata nel 1209. I Gozzadini erano una famiglia potente con un certo gusto per la cultura e questo spiega perché la piccola Bettisia, indubbiamente molto dotata, venne fatta studiare con la cura che di solito si metteva nell’educazione dei maschi.
Bettisia studiò privatamente, come è ovvio, ma furono i suoi stessi professori, ammirati dalla sua brillante intelligenza, a volerla presentare ai dotti dell’Università di Bologna. Risultato: il 3 giugno 1236 la ventisettenne Bettisia ottenne il diploma universitario e l’incarico di insegnare Diritto nell’Ateneo. Questo incarico la professoressa lo tenne per tutta la vita, divenendo celebre. Come i docenti maschi, Bettisia insegnava per lo più nel suo domicilio ma non mancavano le occasioni in cui parlava in pubblico o teneva lezioni presso lo Studio, rendendosi famosa per la sua faconda oratoria.
A questo punto intorno alla figura di questa proto-professoressa si intessono le leggende, che vogliono che essa vestisse sempre da uomo: per essere presa più sul serio? Perché si sentiva un uomo mancato? Non conosciamo le sue motivazioni. Viene in mente a questo proposito un’altra docente bolognese, Novella d’Andrea (1312 1366). Figlia del celebre giurista Giovanni d’Andrea,ereditò, per dir così, la cattedra paterna. Di Novella si dice che, bellissima, insegnasse velata o secondo altri celata dietro una tenda, per non turbare gli studenti con le sue grazie femminili.
Ma torniamo a Bettisia. Per le sue straordinarie doti, essa era la protetta del’arcivescovo di Bologna Enrico di Fratta cosicchè quando quel popolarissimo prelato di santa vita morì (1240) fu incaricata di tenere l’orazione funebre al suo funerale. Per l’occasione Bettisia vestì panni femminili da lutto e il suo discorso fu così bello da far piangere tutta l’immensa folla convenuta al funerale.
Purtroppo la morte di Bettisia fu prematura e provocata da un orribile incidente. Sorpresa da un’inondazione nella campagna bolognese, si rifugiò in una casa che, malauguratamente, crollò travolta dall’acqua ( 1261). Il suo funerale fu un’apoteosi: Bologna si rendeva pienamente conto di aver perso una docente e una cittadina dalle qualità eccezionali.

Su cosa si basa questa ricostruzione? Principalmente sulle Storie di Bologna di Cherubino Ghirardacci (1596); un calendario dello Studio che documenterebbe la laurea di Bitisia sarebbe, secondo alcuni eruditi del Settecento e secondo la storica contemporanea Jane Stevenson (Women latin poets), un falso realizzato dall'avvocato Alessandro Macchiavelli all'inizio del Settecento. Comunque, anche la Stevenson crede che Bitisia sia esistita davvero e che sia sepolta nella chiesa di San Vittore a Bologna.

Tu che ne pensi?
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 15/7/2010, 12:11




Consiglierei di dare un'occhiata a questa pagina dell'Université Diderot di parigi dedicata al VI collouio internazionale su Cristina da Pizzano.

www.univ-paris-diderot.fr/christine2006/index.htm
 
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Madonna Eloisa
view post Posted on 17/7/2010, 14:06




A seguito delle mie ricerche sia per diminuire la mia ignoranza, sia per aiutare gli utenti del forum, ho avuto la possibilità di scomodare la professoressa Maria Giuseppina Muzzarelli.
A lei ho chiesto informazioni su Bitisia (o Bettisia) Gozzadini (o Gozzadina). Purtroppo, per quanto lei insegni all'università di Bologna, non conosceva il personaggio; per fortuna mi ha detto che si sarebbe informata.
La sua disponibilità e gentilezza ha dato spazio a possibilità di farle domande sulle donne nel medioevo e anche altro, avendo lei scritto ottimi libri sugli abiti.
Visto il tuo ultimo intervento, Trotula, su Cristina da Pizzano, e visto che lei ha scritto un libro su di lei, se vogliamo chiederle qualcosa...

:Madonna Eloisa:
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 20/7/2010, 12:37




A proposito di donne medico in Italia, ecco una piccola chicca che avevo trovato nel sito della Compagnia dei Balestrieri del Mandraccio di Genova. Vedere alla voce La spezieria… al femminile .

www.balestrieridelmandraccio.it/bdm_speziale.html

Questo confermerebbe che magistra Hersende phisica medico personale del re di Francia non sarebbe un caso isolato, se entrambe queste donne citate sarebbero state addirittura medici personali della famiglia dogale (e non per curare donne). E c'è da dire che l'articolo è corredato da un'ottima bibliografia, e credo che le "biografie" delle due dottoresse liguri siano state prese da qui:

Ferretto Antonio, Medici, medichesse, maestri di scuola ed altri benemeriti di Rapallo nel secolo XV, in "Atti della Società Ligure di Storia Patria", 1901

Edited by Trotula de Ruggero - 27/7/2010, 14:04
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 29/7/2010, 19:03




E, a questo punto, credo che qualche cenno a Trotula (quella vera!) non guasterebbe. Nonostante tanti articoli e saggi interessanti su di lei, credo che la trattazione più sensata rimanga quella fatta da Salvatore de Renzi nella Storia documentata della scuola medica di Salerno, pubblicata nel 1852.
Signori, andate a leggere!

http://books.google.it/books?id=56sBAAAAQA...trotula&f=false
 
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Madonna Eloisa
view post Posted on 11/8/2010, 16:27




Ammetto che per quanto riguarda la "vera" Trotula de Ruggero ne so molto poco, ma leggendo un articolo su Storica mi hanno molto incuriositi i suoi testi, sia il "De ornatu mulierum" che il "De passionibus mulierum ante in et post partum". Mi piacerebbe sapere dove poterli recuperare...
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 11/8/2010, 16:51




Esiste l'edizione italiana del De Mulierum Passionibus con testo latino a fronte, con una bella introduzione di Pina Boggi Cavallo che ha anche curato l'edizione (Palermo, La Luna, 1994); francamente mi piace di più dell'edizione più recente introdotta da Monica Green ("Trotula : un compendio medievale di medicina delle donne"), poiché, sulla base degli stessi indizi che possedeva De Renzi (con in più solo il Manoscritto di Madrid risalente al XIII secolo), arriva alla conclusione che Trotula non avesse mai scritto quei trattati e che fosse una medichessa del XII secolo. Un po' troppo poco per trarre una conclusione simile, date tutte le interpolazioni che le tre parti della sua opera hanno subito...

Per quanto riguarda il De Ornatu, una edizione carina è il Libro degli adornamenti delle donne, Milano, 2002.

Un altro bell'articolo a proposito di Trotula è questo di Elisabetta Bartoli:

http://www.icec-cf.it/l'ora%20del%20th...202007-2008.pdf
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 11/8/2010, 21:12




Madonna Eloisa, ho trovato un altro riferimento a Sabine de Pierrefonds, la maitresse d'ouvre alla quale accennasti tempo fa.
Questo è un articolo del 10 novembre 2004 di Verónica Viñas dal quotidiano Diario de Leòn, che io ho tradotto dallo Spagnolo: un'intervista a José Luis Corral Lafuente, docente di Storia Medievale e direttore del Dipartimento di Storia all'Università di Saragozza. L'intervista è relativa ad un suo romanzo, ma la Regesta Imperii riporta anche molti suoi articoli scientifici, e da ciò si può concludere che è uno studioso serio.
Un articolo che scoperchia un vaso di Pandora...

Lo storico aragonese afferma che «quella di León è la cattedrale più perfetta del gotico»
«Un terzo dei lavoratori della Cattedrale di León furono donne»
José Luis Corral rivendica nel suo ultimo romanzo il ruolo della donna nei templi gotici.



Decanta le meraviglie della Cattedrale di Leòn, un tempio che lo sedusse quando aveva solo sette anni. Ma fu negli anni settanta, durante un viaggio di lavoro, che sentì che entrando nel tempio gotico penetrava in uno spazio magico. Senza dubbio, il professore di Storia Medievale José Luis Corral Lafuente non avrebbe mai pensato di scrivere un libro, e tantomeno un romanzo, sulla cattedrale di Leòn. Il libro, semplicemente, si è trovato sulla sua strada. Autore di romanzi noti come El Cid, Numancia o la trilogia Trafalgar - della quale ha pubblicato solo il primo libro con un notevole esito di vendite -, Corral Lafuente ha studiato a fondo i pochi documenti che esistono sui maestri costruttori e che lavorarono alla Pulchra. Considera appurato, dai libri dei conti di coloro che lavorarono alla cattdrale, che un terzo erano donne. L’autore sa per certo che alcune erano maestre di bottega, altre maestre d’opera e altre pittrici d’affresco, pale d’altare e miniature, per quanto la storia ufficiale le abbia condannate all’oblio. Il romanzo, intitolato El número de Dios (Edhasa), rivendica il ruolo delle donne nella costruzione dei templi gotici. La pittrice di affreschi Teresa Rendol, un personaggio di fantasia che rappresenta l’archetipo della donna colta del Medioevo, è la protagonista di questo appassionante romanzo di cinquecento pagine. Come spiega l’autore nell’epilogo, «conosciamo i nomi di alcune maestre e artiste, ma quasi niente della loro vita». Teresa Rendol, assicura Corral, «avrebbe potuto essere una delle tante donne che, sfuggendo alla persecuzione contro i Catari, arrivarono in León dalla Linguadoca attraverso il Cammino di Santiago». Il romanzo narra la storia d’amore tra questa donna e Enrique de Rouen, architetto della cattedrale di Burgos e di quella di León. Corral ricrea nel libro una delle epoche più luminose e brillanti del Medioevo, quello chiamato siglo de la inteligencia - cinquecento prima dell'Illuminismo -, tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo; momento in cui si costruiscono le due cattedrali. Un’epoca – ricorda - unica nella storia, perché per la prima volta la donna riesce a porsi all'altezza dell'uomo. La relazione d’amore incontra un parallelismo perfetto nella cattedrale, dove l’uomo rappresenta la luce (le vetrate) e la donna l’oscuro e il profondo (la pietra). Corral, che definisce la Cattedrale di León «affascinante», la considera la più perfetta del gotico, mentre quella di Burgos sarebbe stata «una prova generale». Il romanzo finisce, precisamente, comparando ambedue i templi. Sebbene Rouen si trovi l'opera già iniziata nel tempio di Burgos, quello di León suppone l’apice e la maturità dell’architetto. «Sono molto complementari; di fatto, quella di León non si capisce senza quella di Burgos. Ma la cattedrale di León è la più perfetta del gotico, per l'armonia di linee e proporzioni». Quanto al titolo, El número de Dios, non poteva essere più adatto, in riferimento alla chiave usata dai costruttori per ottenere templi di proporzioni perfette; una misura presente in tutte le forme della natura.

Le donne che ci sono nella Rendol
Il romanzo ha una forte connotazione storica e, soprattutto, una profonda ricerca. «Nei miei romanzi», confessa l’autore, «non rinuncio alla veridicità storica». Nonostante la protagonista, Teresa Rendol, sia fittizia, è ispirata a diverse donne che parteciparono attivamente alla costruzione delle cattedrali: da Teresa Díaz, una delle più grandi pittrici di affreschi del XIV secolo, a Ende, una straordinaria miniaturista del X secolo, o la francese Sabine de Pierrefonds, che scolpì alcune delle migliori statue di Notre-Dame di Parigi. Ciò che più della Pulchra sorprende Corral Lafuente, grande conoscitore e ammiratore della cattedrale di León, è «la tremenda unità che ha»; cosa che non accade, per contro, in quella di Burgos. Questione che l’autore di El número de Dios spiega attraverso una teoria non meno singolare: la Cattedrale di León suppone l’apice di un processo tra due sessi distinti (luce e pietra), ma in condizioni di uguaglianza...
 
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Trotula de Ruggero
view post Posted on 21/8/2010, 15:33




Ah, dimenticavo: proprio il prof. Corràl Lafuente dirigerà, dal 23 al 25 settembre prossimo, alla Fundaciòn Santa Maria de Albarracìn, il XIII corso di Storia e Cultura Medievale intitolato "El Tiempo de las mujeres".

Ecco il programma.
http://www.fundacionsantamariadealbarracin...medieval_10.pdf

 
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85 replies since 11/11/2008, 12:35   3996 views
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