| Trotula de Ruggero |
| | Volendo continuare il discorso sulla papessa, inserisco qui un articolo tratto dalla miscellanea americana Misconception about the Middle Ages, che ho appena finito di tradurre dall'Inglese. La papessa del Medioevo Vincent DiMarco professore emerito d’Inglese alla University of Massachusetts, Amherst.
Questa favola astorica, largamente riportata senza confutazione dalla metà del tredicesimo secolo fin nel Rinascimento, continua sia a catturare l’immaginazione sia a soddisfare le brame dei teorici contemporanei di cospirazioni contro il sistema, di mal documentati critici del Cattolicesimo Romano, e determinate femministe ansiose di restituire alle donne una voce e un potere che i resoconti storici maschili e la chiesa in particolare avrebbero negato loro. Questo lavoro si concentra su come si è evoluta questa leggenda nel Medioevo, con soltanto una breve discussione sulle analisi e interpretazioni moderne, lista ben più ampia di quella alla quale si è accennato. La storia fu messa per iscritto per la prima volta attorno al 1260 dal domenicano Jean de Mailly nella sua Chronica Universalis Mettensis, dove in una glossa sotto l’anno 1099 è annotata, come una ricerca su cui indagare, il racconto di una donna scambiata per uomo che salì, con la forza della sua personalità e dei suoi talenti, alla posizione di segretario della curia, poi di cardinale, e infine di papa. Un giorno, comunque, mentre era a cavallo, questa diede alla luce un bambino, il che la giustizia Romana decretò punibile di morte: lei fu legata ad un cavallo, trascinata e lapidata dalla plebe per due chilometri e mezzo; nel punto in cui morì fu posta un’iscrizione: Petre, Pater Patrum, Papisse Prodito Partum (“Pietro, Padre dei Padri, Tradisci il Parto della Papessa”). Il resoconto di Jean fu ripreso e ampliato da un altro domenicano, Etienne de Bourbon, nel De Diversis Materiis Praedicabilibus (ca. 1261). Per lui, l’affare, che data “intorno al 1100”, costituisce un esempio “di meravigliosa audacia o piuttosto insania,” che dimostra “come una tale temeraria presunzione conduca a una fine così vile.” Curiosamente, una variante che Etienne introduce nell’iscrizione, Parce (“Evita”) al posto di Petre, sembra inspiegabilmente capovolgere il suo significato e quello della morale che egli dà al presunto avvenimento, così come suggerire che la base dell’epigrafe era probabilmente un’antica iscrizione leggibile solo parzialmente o ridotta alle lettere iniziali. Rosemary e Darroll Pardoe (pp. 44–6) notano che P.P.P. sta spesso per Pecunia Propria Posuit (“Pose a spese proprie”) e che Pater Patrum era un noto titolo Mitraico secoli prima della nascita della leggenda della papessa. Così, le varie descrizioni della statua della papessa e di suo figlio (cfr. Johann Burchard, 1486; Martin Lutero, ca. 1510; Roberto Bellarmino, 1577) probabilmente si riferiscono a una o più immagini preesistenti del periodo classico, forse a quella di Giunone che allatta Eracle. Che le potenzialità di questa storia come exemplum fosse presto sfruttata da quella che Boureau chiama “l’informazione domenicana”è palese dall’opera di Iacopo de Voragine Chronica Januensis (Cronaca Genovese, scritta nel 1292, quando Iacopo era arcivescovo della città), Parte 9, Capitolo 8, dove, nel momento in cui introduce il pungente dettaglio che al giungere dei dolori del parto la papessa entrò “in una casetta nella strada; lì morì per i dolori del parto e fu sepolta lì,” Iacopo pronuncia la sentence antifemminista: “La donna … comincia ad agire con presunzione e audacia, ma manca di prendere in considerazione il fine dell’azione e ciò che lo accompagna; essa pensa di aver fatto grandi cose; se può iniziare qualcosa di grandioso, non potrà … perseguire con sagacia ciò che ha cominciato, e questo per la mancanza di discernimento” (Boureau, trad. Cochrane, p. 122). Dal tempo di Iacopo la data 1099-1100 del presunto regno della papessa viene abbandonata, senza dubbio sotto il peso del fatto incontrovertibile della consacrazione di Pasquale II, avvenuta a sole due settimane dalla morte di Urbano II, alla fine del luglio del 1099. R. e D. Pardoe, suggeriscono che plausibilmente la data specificata nella narrazione di Jean de Mailly (che “prolunga” l’elevazione di Pasquale al trono papale fino al 1206) fu suggerita dall’esistenza durante i pontificati di Urbano e Pasquale degli antipapi Clemente III (1080–1100), Teodorico (1100–02), Alberto (1102), e Silvestro IV (1105–11). Ma il 1099 data dell’incoronazione di Pasquale può esser preso in considerazione anche in un altro modo nell’evolversi della leggenda, nei due “sedili forati” che si dice servissero per consentire la verifica manuale dell’autenticità dei testicoli papali, come vedremo. La data dell’undicesimo secolo fu presto superata da un’attestazione precedente. La Chronica Minor di un anonimo francescano di Erfurt, intorno al 1265, include come prima interpolazione la storia dello pseudopapa, “il cui nome e anno sono ignoti”, ma è inserito nel testo tra i paragrafi dedicati a papa Formoso (891–6) e papa Bonifacio VI (896). Ma quella che divenne la data tradizionale fu stabilita in un’interpolazione del tardo tredicesimo secolo in una delle due revisioni (1268, 1277) della molto copiata Chronica de Romanis Pontificibus et Imperatoribus del domenicano cappellano papale Martino Polonio (Martino di Troppau). Qui “Giovanni Anglico” (Boureau: forse un errore per Angelicus, riferendo la frase ricorrente angelicus papa?), era una giovane donna di Mainz, presa ad Atene per il suo amore per lo studio, e scambiata per un uomo; da lì andò a Roma, si distinse nell’insegnamento, e fu eletta papa alla morte di Leone IV nell’855 (nonostante il fatto che fu Benedetto III a succedere a Leone per gli anni 855-8). Lei regnò per due anni, sette mesi e quattro giorni, finché, essendo rimasta incinta del suo amante, partorì e morì durante una processione da San Pietro a San Giovanni in Laterano, tra il Colosseo e la chiesa di San Clemente. “E poiché il papa fa sempre una deviazione da questo percorso, molta gente pensa che sia per l’orrore di quell’evento.” Gli insistenti tentativi (più recentemente, quello di Rinaldi e Vicini) di citare testi precedenti che menzionerebbero la papessa, come il Liber pontificalis (che finisce con il paragrafo su Nicola I, 858-67), gli Historiographi del benedettino Mariano Scoto (m. 1086), la Chronographia di Sigelberto di Glembours (che finisce nell’anno 1112), il Pantheon di Goffredo da Viterbo (ca. 1185), e gli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (1211) sono tutti viziati dal fatto che queste allusioni sono interpolazioni tarde prese dalla tradizione di Martino. Infatti, una fiducia non acritica nella forza della “tradizione orale” può sostenere la totale mancanza di evidenza documentaria della presunta papessa per oltre quattrocento anni. Stanford (32-4 e passim), un ardente sostenitore della storicità della papessa, trae una forza curiosa dall’esistenza di queste interpolazioni tarde: dal suo punto di vista, esse nascondono una “tardiva ritorsione della Chiesa Cattolica” contro la storia, sarebbero cioè un prodotto della Riforma. Ma ciò significa ignorare o distorcere l’esistenza di un mucchio, se non centinaia, di allusioni del periodo pre-Riforma; retrodatare le risposte cattoliche ai tentativi protestanti di scandalizzare la chiesa ad un Weltanschauung pre-Riforma; e confondere la mancanza d’interesse da parte della chiesa – per qualsiasi ragione – a pronunciarsi formalmente contro la storia (che era spesso utilizzata dal clero per fini omiletici, come abbiamo visto) con un massiccio, e massicciamente inutile, tentativo di occultarla. Quali fattori possono aver alimentato la leggenda, che è creazione, dopotutto, dei chierici del Medioevo? Quasi 150 anni fa, Döllinger notò il rapido diffondersi della storia dalla fine del tredicesimo secolo, cioè al tempo del pontificato di Bonifacio VIII (1294–1303), che era spesso in conflitto con gli ordini mendicanti. Più recentemente, Boureau ha magistralmente delineato la tensione tra il papato e gli ordini dagli anni 1254–60, e ha attirato l’attenzione sul tumulto riguardo all’abdicazione di Celestino V, chiamato da molti il “papa angelico”, e sulla successiva elezione di Bonifacio, che era diffusamente criticato come uno “pseudopapa” illegittimamente insediato. L’analogia con la papessa è intrigante, specialmente se ricordiamo che la storia nella cronaca di Martino si conclude con una questione di diritto canonico applicato, nel dichiarare il suo regno non valido, dal momento che lei era ineleggibile, anche se legalmente eletta: ella non è inserita nella lista dei romani pontefici ”in ragione della non conformità che il sesso femminile sia coinvolto in questa faccenda.” I Pardoes (56 ff.) citano una lettera del 1054 di papa Leone IX a Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, in cui il pontefice, scagliandosi contro la pratica di ammettere gli eunuchi ad importanti posizioni ecclesiastiche, allude al fatto che la Chiesa Orientale “aveva una volta innalzato una donna sul trono del pontefice”; il Chronicon Salernitanum (ca. 980) riferisce che al tempo di Carlo Magno (742-814), la nipote del patriarca di Costantinopoli, scambiata per un eunuco, fu scelta come vescovo fra tutti e regnò per quasi un anno e mezzo prima che uno spirito maligno svelasse lo scandalo. Un tradimento del diavolo, notiamo, figura in un certo numero delle narrazioni della papessa, per esempio, la Chronica Minor e i Flores Temporum. Forse il ricordo di un eunuco presumibilmente asceso al patriarcato fornì un’analogia con una donna papa o l’amante di un papa ascesa alla cattedra di San Pietro, o proprio con un papa dissoluto satiricamente “identificato” come femminile. Due aspetti medievali della leggenda richiedono un momento di attenzione: la presunta deviazione fatta dai papi durante la processione dell’incoronazione dal Vaticano a San Giovanni in Laterano per evitare la strada dove la papessa avrebbe partorito; e la presunta verifica manuale dell’autenticità dei testicoli papali. Riguardo al primo, sembra effettivamente che dalla metà del dodicesimo secolo il percorso della processione papale subisca una deviazione vicino alla chiesa di San Clemente, lontano da una via stretta (ora Via dei Querceti), in favore di quella che è ora Via Labicana, per raggiungere il Colosseo. Ciò è, come precisa D’Onofrio (212-40), quasi certamente il risultato del crescente numero di persone all’interno della processione; in un tempo in cui il papa sta consolidando il proprio potere e le ultime vestigia del precedente Carnevale romano/spirito parodistico dell’antica Cornomannia va scomparendo, ciò fu interpretato come una deviazione volontaria, come abbiamo visto. Boureau (90) riferisce la diceria che la stretta Via dei Querceti avesse creato una strettoia che avrebbe ospitato il parto della papessa; in ogni caso, la strada finì per esser chiamata vicus papissae, e una cappella con l’affresco della Madonna col Bambino finì per esser visto come un monumento alla papessa e a suo figlio. La presunta verifica manuale dell’autenticità dei genitali papali, eseguita da un giovane diacono attraverso un’apertura nel trono papale, avrebbe dovuto, naturalmente, scongiurare il rischio dell’elezione di un’altra donna papa. Fu riferita per la prima volta dal benedettino Geoffrey de Courlon e dal domenicano Robert de Uzèz alla metà dell’ultimo decennio del XIII secolo, e poi non più fino alla fine del quattordicesimo secolo, nel seguito della cronaca di Johannes di Viktring, e nel 1379 da Adam di Usk, la cui impossibile “testimonianza oculare” può essere spiegata con l’amaro disappunto del chierico gallese a ritornare in patria senza aver ricevuto l’incarico a Roma che desiderava. Dal 1406, l’umanista Jacopo d’Angelo, apparentemente più fortunato nella sua ricerca del favore papale, nega nel suo resoconto sull’incoronazione di Gregorio XII che un simile rito esistesse, e motiva questa falsa credenza con tratti ampiamente validi spiegando lo scopo e la funzione di vari sedili utilizzati durante il rituale dell’incoronazione: un sedile a San Giovanni in Laterano, chiamato sedes stercoraria, sul quale il papa si sedeva per ricordarsi “che esce dal fango e dal letame”, cioè che anche lui è soggetto alle debolezze della natura umana; e due sedili di porfido nella Cappella di San Silvestro (dei quali, dato che sono forati, Jacopo dice, “la gente comune racconta la storia insensata che qualcuno lo tocchi quando si siede lì per provare che sia effettivamente un uomo”). Seduto sul secondo, il papa riceve, rispettivamente, il pastorale papale e le chiavi (i. e., il potere di governare, affidato da Cristo a Pietro) e una cintura rossa ornata con dodici pietre preziose (che evoca gli ornamenti del Sommo Sacerdote dell’Antico Testamento). I due seggi di porfido sono documentate per la prima volta per l’investitura di Pasquale II nel 1099, come testimonia il Liber Pontificalis. La leggenda del rito della verifica guadagnò un po’ di diffusione nel quindicesimo secolo, a volte legata alla storia della papessa, altre senza espliciti riferimenti a lei. Ma dal 1474, quando l’umanista Platina (Bartolomeo Sacchi di Piadena) terminava le sue Vitae pontificum, continuazione del Liber Pontificalis, la leggenda era diventata confusa e svalutata: Platina riferisce la storia della papessa come qualcosa raccontato da autori oscuri e poco attendibili a cui quasi nessuno credeva. Egli dunque accetta con estrema riluttanza – “Non lo negherò”, dice – la presunta ragione della deviazione del percorso di processione, ma “fonde” i diversi seggi in uno: il seggio è forato, conclude, perché il papa sappia che è soggetto alla natura e deve defecare! Infatti, il “seggio stercorario” fu eliminato dal rito dell’investitura nel 1560, mentre i due sedili forati furono usati per l’ultima volta per la consacrazione di Leone IX nel 1513. Uno fu trafugato dal Vaticano da Napoleone dopo il trattato di Tolentino e oggi è al Louvre; l’altro è ancora nei Musei Vaticani, dove Stanford, che scriveva nel 1998 e confonde ancora i seggi forati con la sedes stercoraria, vi si sedette furtivamente sopra e dichiarò che non poteva essere decisamente un gabinetto!
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